Storie di promozione: il Carnevale tradizionale Alessandrino e il Carnevale di Cattafi, esempi vincenti di storytelling per la promozione territoriale

Il Carnevale tradizionale Alessandrino

Il Carnevale è da sempre un occasione per raccontare storie, dalle più classiche e conosciute maschere della tradizione del teatro dell’arte o del mondo dei burattini (Pulcinella, Arlecchino, ecc..) al mondo della satira o della letteratura.

La tradizione carnascialesca può però diventare anche un modo per raccontare la storia di un paese e di una comunità; è il caso del Carnevale Tradizionale Alessandrino che si svolge ogni anno ad Alessandria del Carretto, un piccolo paese in provincia di Cosenza, nel cuore più stretto del Parco Nazionale del Pollino. Una comunità di poco più di quattrocento anime, immersa tra aspre e dure vette, ma con lo sguardo aperto sulle coste joniche; un paese difficile da raggiungere e ancor più da vivere  se non si è nati lì.

Ma lassù a più di 1000 metri sul livello del mare, la voglia di sopravvivere di una comunità, unita se non altro, dalle difficoltà che diventano normalità per chi vive in montagna, ha fatto nascere un grande spirito creativo che è respirabile in ogni vicolo di questo borgo. Nulla di artefatto, la ricetta è semplice: recuperare tutto ciò che è identitario di questo luogo, tradizioni antiche che hanno le loro radici solidamente piantate nella roccia più solida; ma come questo paese per crescere ha bisogno di guardare al mare, così queste tradizioni vengono ringiovanite e portate verso il futuro.

Il risultato di tutto questo sono due eventi: uno estivo che si svolge ad agosto ed ha respiro ormai nazionale, il festival delle culture tradizionali “Radicazioni” ed uno invernale, che è appunto il Carnevale Tradizionale Alessandrino.

Quest’ultimo non è una sfilata di maschere o carri ma un rito, anzi un insieme di riti; ogni immagine, ogni personaggio ed ogni passo raccontano una storia.

Tra i vicoli del borgo girano come spiriti vaganti i “Połëcënellë”

I Połëcënellë Bielle

Il Połëcënellë Bielle è una maschera bella, uno spirito puro legato alla forza vitale. Il vestito è composto da pantaloni bianchi, una camicia chiara e una maschera di un volto roseo anonimo, ad esprimere la vita come valore che lega tutti gli uomini qualsiasi sia il loro viso.

La parte più caratteristica che compone il costume è sicuramente il cappelletto, un imponente copricapo riccamente decorato con nastri, piume colorate, medaglie ed addobbi vari. Di particolare rilevanza è la presenza di uno specchio sul davanti del cappelletto, forse a raffigurare che il vero volto della maschera bella è quello di chi la guarda, che gioisce della bellezza della vita.

La Maschera bella porta tra le mani “u scruiazzo” un bastone di legno, lavorato pregevolmente dai falegnami locali, con alla punta fissate delle palle di lana colorata.

Questa maschera è legata alla forza vitale dell’amore; tradizionalmente i ragazzi si presentavano a casa delle loro amate vestiti da Połëcënellë Bielle il primo giorno di fidanzamento, portando in dono alla fanciulla “u scruiazzo” come simbolo d’amore e fertilità.

I Połëcënellë Brutte

Si aggira come uno spirito maligno a creare scompiglio tra le strade del paese, forza selvaggia ed oscura: è il lato negativo, brutale come solo la natura sa essere. La sua è energia distruttrice, butta cenere dal suo sacco a simboleggiare la distruzione e la fine della vita.

Questo è “le Uerse” una maschera antica che per molto tempo è stata dimenticata quasi ad esorcizzare questo spirito malevolo.

Il vestito della maschera brutta è formato da pelli di pecore e capre di colore nero e come copricapo ha delle corna di bue, il volto è dipinto di nero, è perennemente inseguito da un uomo che lo trattiene da una catena e batte con un bastone per cercare di trattenerlo.

La sua figura è l’antitesi del Połëcënellë belle e ricorda all’uomo l’esistenza di un lato oscuro che è parte di ognuno di noi, dell’ambiente che ci circonda e va rispettato.

La Vecchia

La Vecchia è una maschera ricorrente in molte tradizioni è il simbolo dell’effimerità della vita, è una figura negativa legata all’infertilità che si contrappone al vigore della giovinezza.

Raffigurata vestita completamente di nero, porta con sè una bambola finta ed inerme che simboleggia la sua ormai incapacità a generare la vita ed un fuso; ricordando la figura mitologica della Parca romana o della Moira greca, rappresenta la vita dell’uomo che come un filo è destinata a spezzarsi.

Il Carnevale di Cattafi: A’ Maschira

Cattafi è una frazione del comune di San Filippo del Mela, nella provincia di Messina, in Sicilia. In un molto ben riuscito gemellaggio, nell’edizione 2019 del Carnevale tradizionale Alessandrino, si è avuta l’occasione di avere nello stesso posto queste due tradizioni.

Il Carnevale di Cattafi ha la sua origine probabile nel 1544 quando un gruppo di contadini cattafesi riuscirono, armati dei solo loro attrezzi di lavoro, a ricacciare in mare un orda di Turchi. E qui nacque la figura dello “Scacciuni“, simbolo dell’uomo fiero e coraggioso che si opponeva alle ingiustizie che divenne in seguito la Maschera simbolo del Carnevale cattafese.

Ogni maschera racconta una storia o simboleggia una tradizione di questo paese siciliano.

La Fioraia

Rappresenta il simbolo della gioventù, della bellezza, della femminilità. E il centro nodale della Maschira. Nella sfilata procede sempre scortata dal “Capuscacciùni” (il quale è l’unico che può “ballare a coppia” con lei) ed attorniata dagli altri Scacciùna che le ruotano attorno in segno di protezione. La si riconosce perché porta al braccio un cesto di viole che, al comando verbale del Capumàschira : “Fioraia fa il tuo dovere!!”, usa regalare a persone del pubblico. Essere omaggiati dei fiori dalla Fioraia rappresenta motivo di grande orgoglio per chiunque li riceva.

Scacciuni

Rappresentano gli uomini valorosi che insieme hai contadini scacciarono i Turchi e all’interno della sfilata sono sempre in numero dispari.

I loro abiti ricordano quelli dei Turchi che sconfissero: abiti variopinti costituiti da un gonnellino di stoffa pregiata indossato a ridosso di un pantalone corto, portato sopra il ginocchio, dello stesso tipo di stoffa, orlato da ricami di grande pregio; una camicia (perlopiù bianca) sulla quale incrociavano nastri multicolori; scarpe, lunghe calze e guanti bianchi. Ma il particolare più interessante era costituito dal copricapo: un lunghissimo cappello a forma di cono, alto ben oltre il metro, dotato di un’anima di canna ricoperta di stoffa pregiata, ornato di pietre preziose, dalla cui sommità si dipanavano una miriade di lunghi nastri colorati.

Sono in perenne movimento ballano intorno al Caposcacciuni e alla Fioraia che proteggono.

I contadini

Ricordano quei contadini che sconfissero l’orda turca; sono vestiti con abiti semplici dell’epoca e portano in mano forconi che simboleggiano le armi con cui difesero le loro terre.

I Fimmini

Un gruppo di belle e giovani ragazze che con le loro coreografie animano il corteo. Il loro abito riprende quello degli Scacciuni e ballano al ritmo di musiche tradizionali e tarantelle.

Dami e Cavalèri

Rappresentano il popolo e la loro particolarità è che sono entrambi uomini; nelle feste non era permesso alle donne di partecipare e quindi alcuni uomini si vestivano da donna e ballavano con i cavalèri.

Sono vestiti con abiti dell’epoca.

Nobili

Il corteo storico è capitanato dal Barone Balsamo che nel 1544 accorse con i suoi soldati in aiuto dei contadini cattafesi.

In epoche passate Carnevale era l’unico giorno in cui il popolo poteva rivalersi con scherzi ed insulti verso i loro padroni da qui nacque il modo di dire “a Carnevale ogni scherzo vale“.