“Non tutte le arance vengono rotonde”: un’analisi al corto di Muccino sulla Calabria
Da poche ore è stato pubblicato il corto “Calabria terra mia” di Gabriele Muccino commissionato dalla Regione Calabria tra finocchietti, arance quadrate e asinelli si è spaccata l’opinione pubblica, ma è davvero così pessimo? Analizziamolo insieme da un punto di vista mediale e comunicativo:
Il corto inizia con un campo lungo, l’inizio di un viaggio, uno di quelli di ritorno che tanti emigrati fanno ogni anno per tornare nella loro terra. Un percorso di passione e calore, si è subito avvolti dalle luci e dai colori esasperati verso il caldo. Il primo fotogramma che salta all’occhio rappresenta la mano dell’attore che accarezza le gambe della sua compagna, un gesto fortemente passionale ma mitigato dall’evidente presenza di una fede al dito di lei.
Un misto tra forti passioni e rispetto delle tradizioni, spunti tipici del tessuto sociale calabrese. Il viaggio continua nella veduta di un borgo antico e si stacca su un’occasione conviviale, sullo sfondo di un tempo quasi fermo in una situazione che rimanda alla tranquillità ed alla serenità che un turista che viene in Calabria si aspetta di trovare.
E poi il bergamotto, prodotto simbolo della Calabria nel mondo: voi direte: “ma non era il peperoncino?” No, mi spiace quello lo è solo per gli Italiani, nel resto del mondo siamo conosciuti maggiormente per il bergamotto, ingrediente fondamentale dell’Earl Grey tea Inglese e di tanti profumi famosi (Dior, Chanel N°5).
Si poteva scegliere tra tanti prodotti identitari ma dato che si voleva parlare di agrumi la scelta di iniziare con il bergamotto è molto azzeccata. Passeggiando per il paese l’incontro con i calabresi ci racconta l’ospitalità e la fierezza per la loro terra, che anticipano quello che vedremo in seguito: clementine, cedro e mare.
Sulle clementine c’è poco da dire: se il bergamotto è il re, la clementina è la regina della produzione agrumicola calabrese. Il cedro ci porta alla sacralità di una terra conosciuta da fin dall’antichità presso la cultura ebraica, che usava ed usa ancora oggi il cedro calabrese nella celebrazione religiosa dei Tabernacoli o delle Capanne.

Poi c’è Tropea e il suo affaccio sul mare, forse uno dei luoghi della Calabria più conosciuti al mondo e le aziende agrumicole da visitare e gustare in bicicletta attraverso percorsi cicloturistici, come un progetto che ho visto nascere in prima persona, quello della Clementinabike dell’azienda agricola Madeo di Corigliano Calabro.
E poi gli asinelli a simboleggiare quel volto della Calabria che ancora resiste fiero allo scorrere del tempo. Un passato ancorato ad una vita contadina fatta di sudore e fatica che hanno plasmato i volti di tanti anziani e generato valori che la vita moderna ha messo da parte. Valori di amore e rispetto per le diversità contro l’omologazione delle arance perfette che non sono sempre tonde ma, quelle davvero autentiche hanno “la forma che la natura gli ha dato”.

“E poi c’è lui, il mare” un mare fatto di storia e ricordi. I luoghi creano gli uomini e la loro anima, non sono solo cartoline, si impregnano delle passioni, delle memorie e delle esperienze di ognuno, i ricordi sono fatti di sapori e odori, e il sapore di un fico mangiato sulla spiaggia insieme alla persona che si ama diventa un’esperienza da raccontare.
Ed è proprio questo quello che il corto “Calabria Terra Mia” di Gabriele Muccino racconta, un’esperienza. Non è e non voleva essere un documentario, ma una pura esperienza. Nell’era postmediale della conoscenza condivisa, di Google e di Wikipedia, avrebbe avuto davvero senso fare qualcosa di nozionistico? Io non credo.
Invece vedere un territorio attraverso gli occhi di una coppia di innamorati che vive la propria esperienza turistica seppur romanzata (ma quale esperienza ripresa da una videocamera non lo è) può davvero creare engagement con il fruitore e stimolare nei turisti, soprattutto stranieri, la volontà di creare e raccontare anche loro la propria esperienza nella nostra terra.
Il prodotto mediale, riprendendo le teorie di Šklovskij, deve generare straniamento per superare lo stato di riconoscimento e rientrare nel sistema di visione primaria, allo stesso tempo un messaggio pubblicitario deve indurre una identificazione con il prodotto; il corto “ Calabria terra mia” attraverso l’assenza di riferimenti temporali facilmente identificabili e la gratuità di molti riferimenti riesce a creare una condizione di straniamento che si è di fatti tradotta nella notevole incidenza sui canali di comunicazione social polarizzando l’attenzione dell’opinione pubblica interna. Sul valore promozionale i dati saranno da valutare, e le premesse sono positive visto l’uso di caratteri identitari positivi verso il target di riferimento che presumibilmente è identificabile col turista straniero che conosce alcuni stereotipi della nostra cultura e che potrà facilmente identificarsi con la figura della protagonista femminile. Non è certo un prodotto che esaurisce la conoscenza di un territorio, e non può esserlo nessun prodotto mediale, ma certamente potrà avere la funzione di creare lo stimolo nel fruitore, a ricercare altre informazioni attraverso altri canali.
Che poi questi canali esistano e riescano a generare punti di contatto ed esperienze utente efficaci è tutta un’altra storia da analizzare.
24 Ottobre 2020 @ 19:02
Ognuno può vedere ciò che vuole, ma è importante ciò che vedono gli altri, ed il corto e fatto per fare vedere.. la Calabria, non la particolare azienda (nessun luogo viene mai nominato) ricca di storia, paesaggi, montagne e boschi, spiagge infinite, non solo belle scogliere. Un qualunque bravo fotografo avrebbe fatto per 2000 euro un ottimo filmino per un viaggio di nozze! Naturalmente questa è un opinione mia.
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